mercoledì 26 febbraio 2014

DAVID HERBERT LAWRENCE E KATHERINE MANSFIELD



David Herbert Lawrence


Molti romanzi di David Herbert Lawrence sono guastati dall’intenzione messianica e propagandistica dell’autore, il quale volle diventare, da un certo momento in poi della sua carriera di scrittore, il cantore dell’amore liberato dalle sofisticazioni d’una civiltà giudicata polemicamente decrepita e repressiva, tutta volta a sopprimere in uomini e donne istinti primordiali e vitali come il sesso, teoria desunta in parte dal freudismo e a causa della quale l’autore smarrisce facilmente la felicità evocativa d’un ambiente e dell’intreccio psicologico e sentimentale tra uomini e donne che in quell’ambiente agiscono, una felicità  che è prerogativa peculiare della sua narrativa. Il narratore può solo raccontare una storia, giacché il suo compito è quello di fare poesia. Guai se nella narrativa si sovrappone al libero esercizio della fantasia il pensiero dell’autore e la volontà di trasmettere al lettore una teoria della vita con la pretesa, per giunta, di imporgliela. Nei romanzi di Lawrence, dunque, le ragioni dell’arte soccombono spesso all'intento messianico dell’autore, quello di porsi come profeta del sesso, un proposito che tradisce, peraltro, il sogno impossibile d’una virilità energica e indomabile per chi, come lo scrittore inglese, era afflitto da una grave forma di tisi che lo portò alla tomba poco più che quarantenne. 

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