Anton Cecov |
Dicevamo,
la lettura come piacere e impegno. Stavolta parliamo del racconto. Oggi, dal
punto di vista editoriale, il racconto (o novella) è decisamente in ribasso,
superato ampiamente dal romanzo, perché così hanno deciso gli editori, in particolare
quelli italiani. Al punto che perfino gli autori di successo, quelli che
pubblicano presso gli editori più importanti, sono costretti a stamparsi i
racconti a loro spese (almeno gli scrittori che, non avendo smesso di amare il
genere, continuano a praticarlo). A causa di questa decisione scellerata
l’interesse del pubblico nei confronti del racconto è decisamente scemato, se
non addirittura scomparso (mi riferisco sempre al nostro paese, perché nel mondo
anglosassone, ad esempio, le cose non stanno esattamente così).
Personalmente ho sempre
amato i racconti e non sarà certo la miope moda editoriale dei nostri giorni a
impedirmi di continuare a frequentarli. Di Cecov, uno tra i migliori autori del
racconto, ho già detto qualcosa. Ho citato, tra i suoi lavori, Veroc’ka come uno dei miei preferiti. Ma
tante altre sue novelle non mi stanco mai di rileggerle, di tanto in tanto. Mi
vengono in mente subito due brevi prose che prediligo, fra le altre, per il
loro intenso e struggente lirismo. La prima è intitolata Bellezze ed è una sorta di contemplazione disinteressata della
beltà femminile intesa come un mistero ineffabile, qualcosa che incanta ma al
tempo stesso confonde, perché intangibile e inafferrabile. Un uomo, oggi, indulgerebbe ad apprezzamenti volgari o, tutt'al più, sdolcinati davanti alla bellezza femminile. Invece, l’approccio di Cecov a
questo fenomeno è d’una delicatezza squisita e malinconica.
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