La vergogna è
uno dei film di Ingmar Bergman che amo di più. Non si parla mai di questo film
(del resto non si parla più tanto nemmeno di Bergman) forse perché è un’opera
che si discosta nettamente dai labirinti psicologici in cui il regista finisce
spesso per impantanarsi. E’ bene ricordare che anche Bergman, pur artista sommo
qual era, è stato un figlio del Novecento, il secolo in cui gli equivoci
freudiani, le ideologie della liberazione e la rincorsa della felicità ad ogni
costo hanno alimentato a dismisura le angosce interiori e l’ansia esistenziale.
Ma La vergogna è un film con un messaggio
chiarissimo, flagrante come un grido di raccapriccio davanti alla
brutalità dell’uomo ed efficace più di
tanti film di guerra quale arma di condanna della violenza perché non indugia in
scene di battaglia, ma mostra gli effetti devastanti che la guerra produce
nell’animo di chi ne resta contagiato anche non partecipandovi. Per l’appunto,
la guerra è quella vergogna a cui allude il titolo, poiché essa sottrae
all’uomo la sua componente spirituale e divina, riducendolo alla bestia ferina
che alberga nel suo istinto.
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