Contrariamente a quanto accade da noi, in cui
ci si attarda nella pratica e nella celebrazione d’un certo tipo di arte
disseminata di equivoci che, per nascondere il suo nulla, si serve di
provocazioni e dissacrazioni (le quali, volendo essere estreme e spettacolari,
rivelano la loro consistenza di muffa), nei paesi anglosassoni il ritorno al
figurativo (per meglio dire, all’arte di figura) è una realtà ormai
consolidata, riconosciuta perfino dall’immancabile mercato. Per l’appunto
è proprio l’America, per lungo tempo patria incontrastata dell’astratto e
dell’informale (con alcune autorevoli eccezioni, però, a cui il mercato non ha
mancato di prestare attenzione, e penso, ad esempio, a pittori come George
Tooker e Andrew Wyeth), sembra essere oggi il paese più avanti nel recupero del
figurativo. Qui emergono pittori di indubbio talento, sicuri di sé
nell’adeguare i temi ma anche le tecniche dell’attualità ai canoni espressivi
della tradizione; operazione che è tornata ad essere intesa come
rappresentazione della realtà esaltata dal talento e dalla tecnica in possesso
del singolo artista e mediata dalla sua personale interpretazione (o
ispirazione che dir si voglia). Mi propongo di esplorare a poco a poco questo
interessante universo che ci viene dagli USA (ma anche da altri paesi, come
constateremo a suo tempo). Per oggi mi limito a segnalare un’eccellente
pittrice, Andrea Kowch, la quale, per avere solo ventisette anni, ha già una
ragguardevole produzione di opere alle spalle, oltre ad aver esposto in luoghi
prestigiosi come il Capitol Hill di Washington DC, la Corcoran Gallery of Art,
la Diane von Furstenberg di New York City, la Margulies Collection di Miami
(per citarne solo alcuni) e vinto, con la sua arte, numerosi premi regionali,
nazionali e internazionali.
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