Adesso che il Novecento è alle nostre spalle già da qualche anno e
cominciamo a guardare ad esso con distacco, possiamo individuare con una certa sicurezza
i grandi maestri che questo secolo travagliato ci ha lasciato, pur foriero
com’è stato di ideologie criminali e di
germi di follia autodistruttiva delle cui scorie non riusciamo ancora a
liberarci; perché, indubbiamente, anche in questo secolo feroce sono comparse
le grandi personalità capaci di assumere il ruolo di figure guida, creando
opere durature nelle varie discipline in cui si esercita il genio dell’uomo,
dalla filosofia al diritto, dalla politica all’arte. Per questo li chiamiamo
maestri (anzi, buoni maestri per
distinguerli dai cattivi maestri, dei
quali il secolo scorso ha sfornato una quantità sterminata), perché la loro
opera costituisce un sicuro riferimento di ricerca del vero, del giusto e del
bello per chi viene dopo di essi. Nel dominio delle arti, in questo caso del
cinema, un posto di rilievo spetta senza dubbio ad Akira Kurosava, un
giapponese, certo, un uomo apparentemente molto lontano dalla nostra mentalità
e dalla nostra cultura, ma un artista che, oltre a produrre una serie di
capolavori cinematografici, è stato anche capace di compiere, nella sua opera, il miracolo di
fondere temi e linguaggi occidentali con quelli orientali, configurandosi
quindi come uno straordinario artista universale.
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