sabato 1 settembre 2012

TOMMASO LANDOLFI, UNO SCRITTORE PER POCHI?



Tommaso Landolfi occupa nella letteratura italiana del Novecento una posizione particolare, quella d’un grande stilista capace di creare superbi artifici narrativi capaci di inoltrarsi nelle zone di frontiera tra sogno e veglia per restituire il carattere sfuggente e polivalente del reale, cogliendone volentieri le risonanze sinistre, ma in una cifra ambigua che oscilla tra l’ironia e lo scetticismo e che spesso fa pensare a un senso d’insignificanza, a un non voler prendere troppo sul serio la materia stessa del narrare così come non va presa troppo sul serio la vita, dove la sorte dell’uomo non è che una condanna senza scampo e di fronte alla quale, per conseguenza, ogni atto, compreso quello di volerla rappresentare, diventa un gesto futile e quasi inutile. Una frase del diario dello scrittore, intitolato, vedi caso, Rien va, svela con chiarezza il suo atteggiamento verso l’esistenza: “Di vero non v’è se non che lo spirito giace eternamente in catene, poco importa da chi forgiate”.

Nessun commento:

Posta un commento