giovedì 1 novembre 2012

ISAAK BABEL, UN GRANDE SCRITTORE VITTIMA DELLE PURGHE STALINIANE




L’opera di Isaak Babel, comparsa nel quadro della letteratura sovietica ma composta da una visuale non completamente assimilabile allo spirito sovietico, rappresenta senza dubbio una delle voci più originali e suggestive emerse nella narrativa russa nel periodo che si situa a cavallo degli anni venti e trenta del 1900. Nato e cresciuto in un ghetto ebraico, quando gli ebrei erano spesso vittime dei pogrom consumati dai goyim, i non ebrei, Babel sviluppò un senso di distacco e di alienazione dal mondo e dai suoi simili del quale non riuscì mai a liberarsi; un sentimento che gli derivava dalle umiliazioni subite a causa della razza di appartenenza e dell’indigenza in cui fu costretto a vivere per anni, ma soprattutto dalla sua vocazione per la letteratura, concepita subito come un mezzo per evadere dal ristretto mondo ebraico e aprirsi alla Russia e oltre, verso l’Europa e l’Occidente; tant’è vero che i suoi maestri, accanto a Cechov, Puskin e Tolstoj, furono i francesi Flaubert, Rabelais e soprattutto Maupassant, del quale tradusse anche alcune novelle, com’è rievocato nel suo racconto Guy de Maupassant.

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