Toulouse-Lautrec
aveva una figura particolare, con gambe
troppo corte rispetto al tronco (causate da un insufficiente sviluppo del
tessuto osseo che gli provocò più d’una frattura del femore quand’era ancora
adolescente), e questo lo rendeva simile a un nano. Tale aspetto fu
determinante nel modellarne il carattere, un miscuglio di sensibilità ardente,
di malinconia, di suscettibilità, talvolta di perfidia, ma anche di gentilezza,
di tenerezza e bontà. La retorica romantica dell’artista “genio e sregolatezza”,
con in più il sigillo del proscritto dai suoi simili, ha calcato la mano su di
lui, come del resto su Vincent Van Gogh, suo contemporaneo e anche suo
conoscente (Lautrec ha lasciato di lui un ritratto a pastello di grande
acutezza psicologica), insistendo per l’appunto sulla sua figura di nano oltre
che sulle sue frequentazioni di case chiuse e sull’uso abituale ch’egli faceva
dell’assenzio.
Ma Lautrec frequentava le case chiuse e le donne che vi
dimoravano perché, in un certo senso, si sentiva uno di loro, un reietto del
mondo per via del suo aspetto fisico, ed era a loro che dedicava la sua arte.
Il dolore ch’egli portava dentro di sé lo riconosceva immediatamente dietro lo
strato di belletto e nei sorrisi di lusinga con cui quelle femmine “di piacere”,
come le si definiva a quel tempo, allettavano gli uomini per un rapporto
mercenario. E nel ritrarle non esprimeva mai un giudizio morale nei loro
confronti, piuttosto un senso di contiguità e di delicatezza verso delle
sorelle nella sorte avversa, le quali, dal canto loro, lo coccolavano e
rispettavano per le sue doti d’artista e, consentendogli di illustrare nei suoi
dipinti la loro realtà squallida o dolorosa, lo riscattavano, in qualche modo,
dai suoi difetti fisici.
Nessun commento:
Posta un commento