lunedì 6 gennaio 2014

LA LETTURA, UN PIACERE E UN IMPEGNO




William Shakespeare
Perché leggiamo libri in cui si raccontano storie immaginarie? La prima motivazione che potremmo suggerire è la stessa che ci spinge a viaggiare: per sete di conoscenza, per spirito d’avventura. Ma, immediatamente dopo averla formulata, ci rendiamo conto che questa motivazione, pur sostanzialmente vera, non basta per  quanto attiene la lettura di racconti, romanzi, opere teatrali, poesie. Proviamo ad aggiungere: perché ci consente di evadere dalla banalità del quotidiano o, se vogliamo dir così, di scoprire altri mondi, altre realtà; ma ci accorgiamo subito che questi motivi stanno anch’essi all’origine del nostro desiderio di viaggiare. E non basta sottilizzare che per viaggiare siamo obbligati a spostarci fisicamente nello spazio, la qual cosa comporta fatiche e disagi, mentre la lettura la esercitiamo seduti comodamente a un tavolo o in poltrona, talvolta addirittura semisdraiati a letto. Questa, in fondo, è solo una differenza di metodo, di procedimento: nel primo caso la nostra mente deve avvalersi delle facoltà del corpo per conoscere, evadere, provare il brivido dell’avventura; nel secondo, la nostra mente si affida allo scritto di un’altra persona per attingere gli stessi risultati. Ancora una volta, però, avvertiamo che la differenza tra le due discipline tocca la  sostanza, non il metodo. Dunque? Una prima risposta per scoprire questa differenza di sostanza la possiamo trovare nel fatto che, viaggiando, l’altro da noi che scopriremo galleggerà solo alla superficie del nostro essere poiché la conoscenza dell’altro non potrà mai approfondirsi e penetrare in noi stabilmente, perché viaggiare significa spostarsi in continuazione; tutt’al più scopriremo nella nostra persona risorse d’adattamento di cui non eravamo consapevoli e che solo il nostro spostarci nello spazio farà emergere: l’altro da noi con cui verremo a contatto sarà, perciò, una conoscenza effimera, che non inciderà in profondità nella nostra personalità. La lettura, invece, può restituirci, e in molti casi ci restituisce, l’altro che è in noi ma che non conoscevamo bene o avevamo trascurato, ossia quella parte di noi che giaceva nelle regioni poco esplorate del nostro io e che non tarderemo a riconoscere come parte del nostro essere. La lettura, per certi versi, ha la stessa funzione del sogno: stimolarci a riconoscere ciò che ci occorre per definire noi stessi, aiutandoci a plasmarci, a completarci. Se il viaggio ci serve a conoscere ciò che è fuori da noi, la lettura ci aiuta a ri-conoscere ciò che è dentro di noi. C’è ancora un elemento che differenzia le due discipline: il piacere che ne ricaviamo. Col tempo quello del viaggiare si affievolisce, ci procura una certa sazietà, non ci stimola più, poiché avvertiamo che ci arricchisce sempre meno; mentre il piacere che ci dà la lettura non diminuisce, in quanto il bisogno di approfondire la conoscenza di noi stessi non si esaurisce perché non smettiamo mai, col passare degli anni e l’avanzare dell’età, di plasmarci e definirci. La lettura, infine, rientra nella sfera dell’immaginazione, della fantasia, della creatività, ossia di quelle facoltà che sono parte integrante del nostro essere e che non possiamo smettere di esercitare, pena l’inaridimento della nostra anima e quindi della vita stessa.

Don Chisciotte e Sancio Panza
Miguel de Cervantes

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