giovedì 1 maggio 2014

VISITA A CARTAGINE





Cartagine immaginata in un'antica pittura
Il trenino per Cartagine correva lungo un’esigua striscia di terra, strappando al mare che la affiancava a destra e a sinistra rapidi balenii di sole. Ma, a parte quegli sprazzi di luce frantumata, dovuti al moto sobbalzante del treno, il mare intorno era piatto come una tavola, d’un affranto color verde, torbido e oleoso, che gli conferiva l’aspetto inerte e lacustre dello stagno; indubbiamente per questo i tunisini hanno battezzato quella distesa d’acqua salata, mai turbata da un soffio, Lago di Tunisi. Era domenica e nei vagoni oscillanti rumoreggiava una folla festaiola visibilmente in gita fuori città, una ressa di gente accaldata e invadente del tutto simile alle moltitudini domenicali delle nostre latitudini se non per i fez, i turbanti e qualche barracano, quel camicione bianco simile a un’antica veste biblica indossato da alcuni arabi. Temevo di ritrovarmi incastrato, una volta giunto a Cartagine, in mezzo a una calca di corpi sudati e vocianti; invece, fui l’unico a scendere alla minuscola stazione che ha preso il nome della città punica; evidentemente per i tunisini - pensai - le mete domenicali erano altre, d’un tipo più prosaico e mondano, come le spiagge più lontane del Capo Bonn o il villaggio turistico di Sidi Bou Said; e, seguendo con lo sguardo la direzione indicata da una freccia con la scritta Carthage, ritenni anche di capire perché. Là dove immaginavo di trovare vestigia di templi e di mura, di selciati di strade e di pavimenti di case, insomma di tutto ciò che costituisce l’attrattiva d’un sito archeologico celebre e insigne, di irresistibile richiamo turistico, non vidi altro che una piccola collina sul mare, nuda e polita come una testa incalvita.

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