Sollecitato da una frase, “Ormai tutto è stato già
fatto”, che suole ripetere un amico pittore spesso scettico sul valore e
sul senso del proprio lavoro, provo a fare qualche riflessione su come tale
convinzione, insediatasi nella mente di molti, abbia influito sull’arte
contemporanea. Il primo esempio che mi viene in mente è la narrativa di
Jorge Luis Borges, il quale, non credendo più, evidentemente, alla possibilità
di confezionare un racconto al modo tradizionale, ha bisogno di affidarsi ad
artifici come quello di scrivere recensioni di libri altrui, ma si tratta di
libri immaginari, la cui trama è soltanto frutto della sua fantasia. Prendiamo
uno dei racconti più rappresentativi dell’espediente a cui Borges ricorre, L’accostamento
ad Almotasim, pubblicato nel 1935. Vi si narra la storia di uno
studente in legge di Bombay che ha rinnegato la fede islamica dei genitori per
la pratica del libero pensiero, il quale, trovandosi per caso al centro d’una
violenta zuffa tra indù e musulmani, uccide (o crede di uccidere) un indù e,
pur macerato dal rimorso causatogli dal suo gesto sconsiderato, decide di
perdersi per le strade dell’India per sfuggire al castigo. Ma il suo diventa
una sorta di pellegrinaggio di riscatto alla ricerca d’un uomo di cui ha
avvertito, presso gli individui della classe più vile coi quali ha finito col
confondersi durante il suo vagare, un riflesso di chiarità, ossia d’una letizia
e d’una bontà che potrebbero essere gli attributi di un santo. Cercando
quell’uomo, il cui nome è Almotasim, incontra via via, come in un percorso
ascendente per stadi successivi verso quella “chiarità” da cui si sente
chiamato, persone sempre più degne e stimabili, finché, dopo lunghi anni di
ricerca, giunge davanti a una porta oltre la quale, “attraverso una tenda a
perline da pochi soldi”, sa che troverà l’ineffabile uomo detto Almotasim.
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