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Danzatori Pehul |
La vasta pianura saheliana era quasi
interamente coperta da una folla esorbitante e clamorosa, da un caleidoscopico
assembramento d’uomini e d’animali in cui lo sguardo, stordito e ammaliato, si
smarriva. Scendendo dall’affollatissimo autobus che mi aveva portato in quella
regione a nord di Niamey, la capitale del Niger costituita in gran parte da
quartieri bidonvilles alla cui atroce
inopia e degradazione mi ero affrettato a sottrarmi, m’ero sentito sollevare
immediatamente il cuore da quel vivace spettacolo di folla, di animazione, di
folclore rappresentato dagli ampi raduni di genti diverse che risultano essere
i mercati africani nelle zone di confine, là dove si dànno convegno, a determinate
scadenze, gli allevatori nomadi o seminomadi transumanti nei territori
desertici e i contadini stanziati nelle savane coltivabili. Si tratta di grandi
mercati ma anche di occasioni di danze e festeggiamenti e di incontri e approcci sentimentali o sessuali tra uomini e donne di tribù o etnie diverse. V’erano i Peulh dalle membra
sottili e allungate accompagnati da imponenti mandrie di zebù, i grandi bufali
dalle corna a forma di lira che si vedono in tante decorazioni dell’antico
Egitto; i Tuareg in groppa ai loro snelli dromedari o intenti a controllare
piccoli armenti di capre segaligne; le vigorose donne della savana drappeggiate
nelle pezze di cotonina stampata a foglie, a figure di zebre e leoni, o
riproducenti i ritratti dei capi di stato delle nazioni africane. Neonati
addormentati stavano appesi alla schiena delle madri sostenuti da un’altra
pezza di stoffa assicurata al seno con un nodo. Alcune contadine a torso nudo
mostravano con indifferenza i loro seni avvizziti, prosciugati da maternità
ripetute. Invece le ragazze peulh più giovani e carine esibivano fieramente dei
piccoli seni appuntiti, muovendo sinuosamente i corpi snelli e facendo tintinnare
con civetteria i grandi cerchi sottili appesi alle orecchie e gli anelli d’ottone
stretti alle caviglie. Alcune reggevano sul capo, a modo di turbante, un
involto di stoffa contenente la dote da portare sempre appresso: utensili da
cucina, attrezzi per l’allevamento, scampoli di tessuto, un gioiello prezioso.
Su molti volti si notavano i rituali segni di scarificazione, praticati fin
dall’infanzia per attestare l’appartenenza clanica o tribale. Le donne tuareg
gareggiavano per avvenenza con le fanciulle peulh: entrambe, pur essendo di
fede islamica, portavano il viso scoperto, mentre non pochi dei loro uomini,
soprattutto fra i tuareg, avevano la parte inferiore del volto coperto da un
velo nero. Alcuni, come me, erano convenuti sul luogo a bordo di camion o di
pullman, ma la maggior parte dei presenti era arrivata cavalcando asini e
cammelli, spesso addirittura a piedi, percorrendo molti chilometri d’un
territorio ricco solo di sabbie e di cespugli spinosi.
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Donne Tuareg |
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